Franziska Brenni-Zoppi
Paola Rezzonico
Valentina Benassi
Tre artiste che vivono e lavorano nel nostro cantone; tre ceramiste: Franziska Brenni-Zoppi, Paola Rezzonico, Valentina Benassi.
Gli spazi della 9m2 gallery di Morcote ospitano dal 21 maggio al 3 giugno 2018 l’esposizione dal titolo “Wabi Sabi: bellezza insolita”. Troviamo vasi in ceramica, porta fiori singoli, fiori, fino ad arrivare agli acquarelli. Tutte le opere sono create a mano e pezzi unici.
Ognuna delle artiste presenta il proprio modo di vivere l’arte e di crearla.
Franziska, Paola e Valentina saranno presenti giovedì 31 maggio alle ore 16 per il consueto caffè con artiste e la presentazione del loro lavoro, scritta e curata da Walter Ghidini.
Le vetrine della 9m2 gallery sono visibili 24h/24, 7g/7, l’orario di apertura è lunedi-martedi, giovedi-venerdi 10-16 e sabato e domenica su appuntamento.
Catalogo disponibile in galleria.
Wabi-sabi (侘寂) costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. L’espressione deriva da due caratteri 侘 (wabi) e 寂 (sabi):
Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermanente e incompleta” deriva dalla dottrina buddhista dell’anitya(sanscrito, giapp. 無常 mujō; impermanenza).
Secondo Koren, il wabi-sabi è la più evidente e particolare caratteristica di ciò che consideriamo come tradizionale bellezza giapponese dove “occupa all’incirca lo stesso posto dei valori estetici come accade per gli ideali di bellezza e perfezione dell’Antica Grecia in Occidente”. Andrew Juniper afferma che “se un oggetto o un’espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell’oggetto è wabi-sabi”. Richard R. Powell riassume dicendo “(il wabi-sabi) nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto”.
Le parole wabi e sabi non si traducono facilmente. Wabi si riferiva originariamente alla solitudine della vita nella natura, lontana dalla società; sabi significava “freddo”, “povero” o “appassito”. Verso il XIV secolo questi significati iniziarono a mutare, assumendo connotazioni più positive. Wabi identifica oggi la semplicità rustica, la freschezza o il silenzio, e può essere applicata sia a oggetti naturali che artificiali, o anche l’eleganza non ostentata. Può anche riferirsi a stranezze o difetti generatisi nel processo di costruzione, che aggiungono unicità ed eleganza all’oggetto. Sabi è la bellezza o la serenità che accompagna l’avanzare dell’età, quando la vita degli oggetti e la sua impermanenza sono evidenziati dalla patina e dall’usura o da eventuali visibili riparazioni.
Sia wabi che sabi suggeriscono sentimenti di desolazione e solitudine. Nella visione dell’universo secondo il Buddhismo Mahayana, questi possono essere visti come caratteristiche positive, che rappresentano la liberazione dal mondo materiale e la trascendenza verso una vita più semplice. La filosofia mahayana stessa, comunque, avverte che la comprensione genuina non può essere raggiunta attraverso le parole o il linguaggio, per questo l’accettazione del wabi-sabi in termini non verbali può costituire l’approccio più giusto.
I concetti di wabi e sabi sono originariamente religiosi, ma l’uso che si fa attualmente di queste parole in giapponese è spesso abbastanza causale. In ciò si può notare la natura sincretica dei sistemi di credenze giapponesi.
Una traduzione molto semplice di wabi-sabi potrebbe essere bellezza triste.
Altra interpretazione possibile è “bellezza austera e, quasi malinconicamente, chiusa in sé”.